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Si guardò attorno,
più attentamente. Nel bicchiere bordato di calcare c’era un solo spazzolino e
di fianco un cestino pieno di oggetti messi insieme alla rinfusa: delle creme,
un elastico rosso, una spazzola con dei capelli attaccati e un paio di
forbicine per le unghie. Sulla mensola sotto lo specchio era appoggiato un
rasoio, frammenti millimetrici di peli scuri erano ancora incastrati sotto la
lama. C’era stato un tempo in cui, seduto sul letto insieme ad Alice, poteva
percorrere la stanza di lei con lo sguardo, individuare qualcosa su uno
scaffale e dirsi gliel’ho comprato io. Quei regali erano lì a testimoniare un
percorso, come bandierine appuntate alle tappe di un viaggio. Segnavano il
ritmo cadenzato dei Natali e dei compleanni. Alcuni riusciva ancora a
ricordarli: il primo disco dei Counting Crows , un termometro di Galileo, con
le sue ampolle variopinte e fluttuanti in un liquido trasparente , e un libro
di storia della matematica, che Alice aveva accolto con uno sbuffo ma che alla
fine aveva letto. Lei li conservava con cura, trovando loro una posizione
evidente, perché a lui fosse chiaro che li aveva sempre sotto gli occhi. Mattia
lo sapeva. Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov’era. Come se,
abbandonandosi al richiamo di Alice, potesse ritrovarsi in trappola, annegarci
dentro e perdersi per sempre. Era rimasto impassibile e in silenzio, ad
aspettare che fosse troppo tardi. Adesso intorno a lui non c’era un solo
oggetto che riconoscesse. Guardò il proprio riflesso nello specchio, i capelli scombinati,
il colletto della camicia un po’ storto, e fu allora che capì. In quel bagno,
in quella casa come nella casa dei suoi genitori, in tutti quei luoghi non
c’era più nulla di lui. Rimase immobile, ad abituarsi alla decisione che aveva
preso, finché non sentì che i secondi erano finiti. Ripiegò con cura
l’asciugamano e con il dorso della mano cancellò le goccioline che aveva
lasciato sul piano del lavandino.
Paolo Giordano, la
solitudine dei numeri primi
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